Anna Pirozzi

Il soprano. Anna Pirozzi: «La mia voce contro i pregiudizi»

Antidiva della lirica arrivata tardi al successo, dopo una lunga gavetta, «passando per mille mestieri», che l’ha resa più forte. «All’inizio discriminata per il fisico, oggi ho vinto con il talento».

Mentre il 7 dicembre una agguerrita Anna Netrebko inaugurava la stagione scaligera nel Macbeth di Verdi, in contemporanea un’altra potente Lady Macbeth tutta made in Italy conquistava la Royal Opera House di Londra, infilando una doppietta trionfale con Tosca.. Stiamo parlando di Anna Pirozzi, una delle più lanciate dive del belcanto italiano a livello mondiale. Anzi, è meglio parlare di antidiva perché questa eccezionale soprano napoletana, dalla voce agile e profonda, coglie i suoi tronfi oggi a 47 anni, dopo una lunghissima gavetta ed una storia particolare che l’ha vista prima fare mille lavori. Poi studentessa tardiva al Conservatorio, moglie e mamma per riuscire finalmente a salire sul suo primo palco importante alla bella età di 36 anni. Lottando oltretutto contro i pregiudizi del mondo dell’opera di oggi in cui si è discriminate se non si ha il fisico di una modella. Ma con le sue forze Anna Pirozzi ce l’ha fatta, ha lavorato con Muti, Mehta, Domingo, Pizzi e Hugo De Hana e oggi è richiestissima. La incontriamo a Milano, prima che debutti il 19 gennaio prossimo nel Macbeth a Vienna, mentre, professionale e paziente, tiene lezione a una decina di giovani soprano durante una masterclass presso l’Accademia Cantoalato. E ci racconta con semplicità la sua vita, non sempre facile, sfoderando un sorriso irresistibile.

È vero che all’origine di tutto c’è il Festival di Sanremo?

Io da piccolina seguivo tutte le edizioni di Sanremo, mi piaceva comprare Sorrisi, canzoni e Tv e studiarmi le canzoni per cantarle davanti al televisore e poi riproporle nei pianobar, nei karaoke. Tutto è iniziato proprio nei karaoke, dove andavo per passare una serata con gli amici, ma poi la gente mi sentiva cantare e diventavo il juke-box del locale.

L’arte faceva parte della sua famiglia?

Mia madre da ragazza faceva la cantante, interpretava Mina e le canzoni italiane. Poi si è sposata e ha lasciato tutto per la famiglia: ha vinto un concorso alle Poste e ci siamo trasferiti tutti ad Aosta. Mio papà invece suonava la batteria in un gruppo rock, come pure mio fratello Michele. Dato che tutti mi dicevano che ero brava, ho iniziato l’attività della cantante pop. Ma non avevo studiato da nessuna parte, avrei voluto partecipare ad Amici di Maria De Filippi, ma avevo già 24 anni ed ero troppo grande.

Nel frattempo lei lavorava sodo.

Ho lasciato presto la scuola e ho sempre lavorato. Ho fatto di tutto: le pulizie, la postina e per 11 anni l’assistente domiciliare nelle case di riposo e anche nei centri sociali per portatori di handicap. Mi ricordo che al mattino, dopo aver vestito tutti gli anziani, si puliva i corridoi e le stanze e io canticchiava un po’ di opera. E loro mi dicevano «dai che bello canta per noi che ci piace tanto». Era commovente. Qualche collega un po’ più cattiva mi diceva «ma che canti a fare, tanto non farai mai niente». Intanto a 25 anni, lavorando, mi ero iscritta al Conserva- torio a Torino per saper leggere la musica.

Quando è stato l’incontro con la lirica?

Il mio primo maestro mi chiese di cantare qualcosa di lirico per l’audizione di ammissione al Conservatorio. Io conoscevo solo l’Ave Maria di Schubert che cantavo in chiesa per i matrimoni. Lui mi disse che avevo una predisposizione naturale al canto lirico, poi mi raccontava le trame delle opere che mi sembravano dei film, mi ha fatto ascoltare Di Stefano, Del Monaco e Maria Callas. Il colpo di fulmine è stato ascoltarla in Casta Diva nella Norma. Voglio cantare anch’io così, mi sono detta.

E a 30 anni è iniziata una lunga gavetta…

Intanto mi ero sposata con mio marito che è violinista. Ho cominciato a cantare opere in giro per i piccoli teatri di provincia, ed è lì che ci si fa le ossa. Una sera cantavo Tosca, un’altra sera Aida, si partiva in pullman con una piccola orchestra e si cantava tutte le sere. Nel 2011, a 36 anni ho avuto la mia prima bambina, e subito dopo averla allattata, ho fatto la mia prima audizione importante, grazie alla mia prima agente, al Regio di Torino dove cercavano Amelia per Un ballo in maschera di Verdi. Non era facile trovare un agente, ero già ‘vecchia’, nessuno mi voleva e anche nei teatri non mi prendevano perché non avevo curriculum. Mi diedero la parte nel terzo cast, ma finalmente cantavo per la prima volta in un grande teatro. Feci bene, ci fu il passa parola e in otto anni ho girato i teatri di tutto il mondo, dal Teatro Real di Madrid al Massimo di Palermo, dal Carlo Felice di Genova e la Scala alla Royal Opera House di Londra, la Bayerische Staatsoper di Monaco e il Metropolitan di New York.

Come è riuscita a conciliare il suo ruolo di soprano e quello di madre?

Il secondo figlio è arrivato quando avevo 42 anni. La famiglia è molto importante per me, e questo mi ha sempre aiutato a tenere i piedi per terra, e capire che cos’è la vita veramente. Quando si chiude il sipario hai la famiglia che ti aspetta, Leonora, che oggi ha 11 anni, e Daniel Riccardo che ne ha 4. Ho un grande marito, lui ha rinunciato al suo violino momentaneamente per seguirmi. Adesso i bambini vanno a scuola a Mendrisio in Svizzera dove abitiamo e il papà sta con loro.

Lei è una donna che ha rotto molte convenzioni ed è stata la prima a denunciare il cosiddetto ‘bodyshaming’, la discriminazione a causa dell’aspetto fisico, nel mondo della lirica.

L’ho vissuto sulla mia pelle. Al primo impatto la voce ha stupito tutti. Dicevano: «Sì ha la voce però il fisico…è grossa non va bene per fare quel ruolo», ci fu anche un noto regista che mi rifiutò per quello. Le discriminazioni per il fisico le ho sentite veramente tanto, anche ultimamente. Due o tre anni fa anche un grande teatro non mi prese perché faceva il Dvd delle opere e per loro non ero abbastanza bella. La voce passava sempre in secondo piano, ho dovuto lottare contro queste cose, però ce l’ho fatta. Ora, tra opere e master class, ho il calendario pieno fino al 2025…

Cosa insegna alle ragazze che frequentano le sue masterclass?

Alle giovani dico andate avanti, però dovete essere preparate, dovete andare sul palcoscenico e mostrare che siete tecnicamente solide. E occorre essere anche psicologicamente forti perché in questo mondo difficile se non hai la testa non sopravvivi. Io ho perso per strada tante colleghe che psicologicamente hanno mollato: sei sempre con i fucili puntati e quando sei a un livello top devi stare lì a tutti i costi. Bisogna essere equilibrati.

Quale altro traguardo intende raggiungere?

Ho un piccolo rammarico, che in Italia non lavoro molto. Il mio sogno sarebbe fare un’apertura di stagione come cantante italiana alla Scala, dove ho già cantato con successo, ma mai per il 7 dicembre. Come cantate italiana per me sarebbe il più grande risultato. Antidiva della lirica arrivata tardi al successo, dopo una lunga gavetta, «passando per mille mestieri», che l’ha resa più forte di ogni ‘bodyshaming’ «Agli inizi la mia voce passava in secondo piano mi dicevano che ero ‘grossa’ Ma non ho mai mollato… Ora ho un calendario pieno fino al 2025»

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